Se tali conoscenze vengono meno anche la corretta e funzionale divulgazione dell’informazione per la donazione non potrà mettere radici nel cuore e nelle coscienze di tutti noi.
La donazione è l’atto fondamentale per la risoluzione dei problemi di moltissimi dializzati.
Senza la donazione un dializzato non può essere sottoposto al trapianto, restando così legato nell’oblio della dialisi per moltissimi anni e in alcuni casi accompagnandolo anche alla morte.
La dialisi, conosciuta meglio come l’emodialisi (dialisi del sangue), sostituisce il principio di funzionamento dei nostri reni naturali, quando questi hanno una ridotta o assente funzionalità renale (insufficienza renale). La macchina utilizzata per questa terapia viene definita rene artificiale, il cui scopo è di depurare il sangue da tutte quelle sostanze tossiche e di normalizzare anche il peso corporeo, cosa che diversamente con un’insufficienza renale in corso il nostro organismo non riuscirebbe a fare. Nel procedimento dialitico Il sangue viene fatto defluire in un’unica direzione, dal paziente alla macchina che dopo aver attraversato il filtro e sfruttando anche l’impiego di una soluzione dialitica ritorna nel paziente privo di sostanze tossiche.
Una seduta di dialisi (da effettuarsi a letto o in poltrona) dura circa 4/5 ore per tre volte a settimana (secondo i casi).
Prima di iniziare le sedute di emodialisi bisogna eseguire un particolare intervento chirurgico, chiamato accesso vascolare, nel braccio (più frequentemente).
Una fistola permette il passaggio di alti flussi di sangue per la dialisi, e serve a fare aumentare di volume una vena dell'avambraccio. Il paziente dovrà subire un piccolo intervento, di solito in anestesia locale, che consiste nel creare un collegamento permanente tra una vena e un'arteria. Dopo 4/6 settimane la vena diventa molto più grande e più robusta, e può essere usata come accesso per la dialisi.
Ecco come funziona una fistola arterovenosa
- Durante la dialisi due aghi sono inseriti nelle vene "che partono dalla fistola". Un ago preleva il sangue che deve essere depurato, l'altro riporta il sangue filtrato al corpo.
- Gli aghi sono collegati mediante tubi di plastica a un filtro speciale, chiamato dializzatore (o rene artificiale).
- Una pompa spinge il sangue nel dializzatore. Il sangue passa in un lato del filtro e la soluzione preparata dalla macchina passa nell'altro. La soluzione, che non si mescola con il sangue, estrae i liquidi in eccesso e i prodotti di scarto attraverso un processo chiamato dialisi.
- Il sangue "ripulito" arriva al secondo ago mediante il tubo di plastica ed è reintrodotto nel corpo del paziente.
Difficoltà in dialisi
Comunque è difficile spiegare cosa significhi tutto questo, settimana dopo settimana, per tutta la vita.
L’esistenza di un dializzato è tutta nella lentezza con cui le scorie si accumulano dentro: lentezza che gli regala un giorno o due di benessere nei quali possono vivere senza rene artificiale, come le altre persone.
Chi incontra un dializzato tra una dialisi e l’altra e non conosce la situazione, non immagina certo che egli vive solo grazie ad una macchina, perché sembra una persona come tutte le altre.
Trascorso questo tempo non può mancare all’appuntamento col rene artificiale, perché saltare una sola seduta vorrebbe dire ricominciare a stare male e saltarne di più vorrebbe dire rischiare di morire.
Gli emodializzati devono inoltre, limitarsi strettamente nel bere, perché tutti i liquidi che ingeriscono restano dentro di loro fino alla dialisi successiva.
In soli due giorni possono così aumentare di peso anche di alcuni chili.
Il massimo incremento di peso consentito nell’intero periodo interdialitico è solo del 5% del peso corporeo: se crescono troppo la seduta successiva non può essere sufficiente a smaltire tutto quanto accumulato, perché l’organismo non tollera sottrazioni troppo brusche di liquidi.
E non possono certo crescere all’infinito, perché l’acqua comincerebbe ad accumularsi anche nei polmoni ostacolando la respirazione (edema polmonare).
Quindi possono bere poco.
Ma, a causa della loro malattia, hanno più sete di una persona normale.
Il senso della sete è il mezzo di cui si serve il cervello per avvertirti che i cibi hanno fatto aumentare nel sangue la concentrazione di sali ed urea ed è necessario abbassarla diluendoli, bevendo.
I reni si incaricheranno poi di eliminare sia i sali che l’acqua in eccesso.
Ma quando i reni non funzionano più, tutti i sali che si ingeriscono restano nell’organismo e, con essi, rimane anche la sete.
Bisognerebbe bere a volontà, ma questo non è possibile ad un dializzato, altrimenti crescerebbe troppo di peso tra una dialisi e l’altra.
Non gli resta così che mangiare cibi poco salati e cercare di…… “dimenticare” la sete in attesa che la prossima dialisi tolga, coi sali, anche l’arsura.
La dialisi, inoltre, non riesce a svolgere tutte le funzioni dei reni sani.
Basti pensare che, mentre i reni mantengono la concentrazione delle sostanze tossiche costantemente bassa nel sangue perché funzionano 24 ore su 24, la dialisi, funzionando ad intermittenza un giorno sì ed uno no, lascia che le scorie raggiungano nel sangue picchi ben al di sopra dei livelli normali.
Tutti i dializzati sono più o meno anemici: hanno cioè nel sangue meno globuli rossi di una persona normale.
I reni, infatti, producono un ormone (l’eritropoietina) che stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi.
Ma la macchina non può sostituire questa funzione e il loro midollo diviene quindi “pigro”.
Poiché l’anemia si instaura lentamente, è in genere ben sopportata, a meno che non raggiunga livelli gravi.
In questi casi bisogna somministrare l’eritropoietina per correggere l’anemia.
Il potassio è un sale molto importante che l’organismo usa per il funzionamento del cuore, dei muscoli e dei nervi; l’eliminazione del potassio in più è una delle funzioni dei reni sani, che la dialisi non riesce a sostituire completamente.
Perciò questi pazienti accumulano facilmente potassio nel sangue, le cui conseguenze possono essere gravissime: grave debolezza muscolare, aritmie e addirittura arresto cardiaco.
Il potassio è contenuto in tutti gli alimenti e ce ne sono alcuni che ne sono particolarmente ricchi come il cioccolato, la frutta e la verdura in genere che devono perciò essere drasticamente limitati nella dieta.
Oltre ai cibi ricchi di potassio, essi devono assumere con moderazione anche quelli che contengono più fosforo (formaggi e carni) perché nell’insufficienza renale un aumentato livello di fosforo nel sangue scatena una reazione che sottrae calcio dal tessuto osseo: ne conseguono dolori alle articolazioni, facilità di fratture e complicanze ossee che a lungo andare possono pregiudicare la struttura stessa del sistema scheletrico.
E questo perché nell’insufficienza renale non funziona il sistema di attivazione della vitamina D, funzione che il rene artificiale non può sostituire.
Come si è potuto capire, oltre alla funzione depurativa, i reni sani hanno anche una fondamentale funzione endocrina che la macchina non riesce a svolgere.
Oltre ai problemi che abbiamo già indicato, rimangono irrisolti quelli legati ad altre sostanze prodotte a livelli ottimali dal rene sano (renina e prostaglandine) e che agiscono sui livelli di pressione arteriosa.
La dialisi permette – pur con tanti sacrifici e limitazioni – una buona sopravvivenza, ma per i dializzati c’è un sogno: il ritorno ad una vita normale!
Questo sogno ha un nome: trapianto.
Un nuovo rene funzionante, la libertà della macchina, la salute riacquistata….
Innegabilmente è un grande atto d'amore. Verso il figlio, il fratello, la persona amata... La voglia di salvarla dall'incubo della dialisi, di quella macchina che ti dà modo di vivere ripulendo, più giorni la settimana, il sangue reso impuro da reni che non filtrano, che non funzionano.
L'unica alternativa alla dialisi è il trapianto, ma le liste d'attesa, per avere assegranto un rene da cadavere , sono lunghe, troppo lunghee, a volte, il destino non dà il tempo di aspettare. Ed ecco che può scattare l'atto d'amore: la cessione di un rene, da vivente.
Oggi, il trapianto di rene da donatore vivente è considerato un'alternativa valida a quella da cadavere. Anzi, secondo statistiche norvegesi (la Norvegia pratica questo tipo di trapianto dal 1968 come prima opzione terapeutica), un'ottima scelta, visto che in tutti questi anni non ci sono stati decessi operatori, nè postoperatori, che l'aspettativa di vita del donatore non risulta modificata e che il recupero dei soggeti trapiantati è completo.
Eppure, in Italia, il trapianto di rene da vivente rappresenta solo l'11 per cento di tutti i trapianti. E ci si chiede il perchè. La risposta più valida è che , ancora, la donazione di rene da vivente non è adeguatamente conosciuta.
Si tende sempre ad accostare il trapianto d'organo ad una persona deceduta. Da qui, l'importanza di rendere edotta la popolazione sula possibilità di poter donare un rene quando si è in vita, un'occasione per offrire a chi è affetto da insufficienza renale grave l'oppurtinità di "ritorare" a vivere.
Con una nuova tecnica di chirurgia mini-invasiva si semplifica la donazione di un rene da vivi: l'organo viene prelevato con una piccola incisione di soli 6 cm in modo molto semplice e sicuro.
Trapianto di rene da vivente: opportunità poco conosciuta
http://www.azsalute.it/Interno.aspx?Oid=823Innegabilmente è un grande atto d'amore. Verso il figlio, il fratello, la persona amata... La voglia di salvarla dall'incubo della dialisi, di quella macchina che ti dà modo di vivere ripulendo, più giorni la settimana, il sangue reso impuro da reni che non filtrano, che non funzionano.
L'unica alternativa alla dialisi è il trapianto, ma le liste d'attesa, per avere assegranto un rene da cadavere , sono lunghe, troppo lunghee, a volte, il destino non dà il tempo di aspettare. Ed ecco che può scattare l'atto d'amore: la cessione di un rene, da vivente.
Oggi, il trapianto di rene da donatore vivente è considerato un'alternativa valida a quella da cadavere. Anzi, secondo statistiche norvegesi (la Norvegia pratica questo tipo di trapianto dal 1968 come prima opzione terapeutica), un'ottima scelta, visto che in tutti questi anni non ci sono stati decessi operatori, nè postoperatori, che l'aspettativa di vita del donatore non risulta modificata e che il recupero dei soggeti trapiantati è completo.
Eppure, in Italia, il trapianto di rene da vivente rappresenta solo l'11 per cento di tutti i trapianti. E ci si chiede il perchè. La risposta più valida è che , ancora, la donazione di rene da vivente non è adeguatamente conosciuta.
Si tende sempre ad accostare il trapianto d'organo ad una persona deceduta. Da qui, l'importanza di rendere edotta la popolazione sula possibilità di poter donare un rene quando si è in vita, un'occasione per offrire a chi è affetto da insufficienza renale grave l'oppurtinità di "ritorare" a vivere.
Tecnica mini invasiva, più facile il trapianto di rene da donatore vivente
http://www.azsalute.it/Interno.aspx?Oid=807Con una nuova tecnica di chirurgia mini-invasiva si semplifica la donazione di un rene da vivi: l'organo viene prelevato con una piccola incisione di soli 6 cm in modo molto semplice e sicuro.
La tecnica offre maggiore sicurezza rispetto alle altre tecniche disponibili e come in tutta la chirurgia mininvasiva consente un miglior risultato estetico, minore dolore, minori complicanze, ridotta degenza ospedaliera e più rapida ripresa del donatore.
L'incisione necessaria per l'estrazione dell'organo col taglio chirurgico classico è lunga dai 15 ai 20 cm, contro i 6 di quella in laparoscopia. In questo modo donare un rene a un proprio caro diventa molto più facile: questa tecnica potrebbe, dunque, incentivare la donazione da viventi che in Italia nell'ultimo decennio ha riguardato il 12,7 per cento dei trapianti di rene effettuati.